You can see its face even at noon
[Puoi vedere la sua faccia anche a mezzogiorno]
Prima di imbarcarci, attraversammo una pineta in cui gli uccelli non cantavano.
Nel silenzio, ci rendemmo conto che forse non erano del tutto assenti, ma in realtà avvertivamo solo un fruscio in alto fra le fronde, un frullare d’ali, sporadico quanto improvviso, senza tuttavia mai riuscire a vederli.
Nessuno pensò di dirlo, di provare ad esprimere questa consapevolezza, ma era come se sapessimo che gli uccelli avessero ragione a diffidare di noi, di qualcosa che emanavamo, una cosa intrinseca che esisteva senza che necessariamente dovessimo esserne consapevoli.
Più tardi, sulla barca, sebbene prossimi alla costa, la terra ancora distinguibile nelle sue molte forme che si ergeva scura, lentamente il mare immenso rimise tutto nella giusta dimensione, e ci sembrò normale che l’aria fosse vuota.
Infine, superato il promontorio, le vedemmo, appena al disotto del filo dell’orizzonte, enormi e azzurre come le catene di rilievi smussati che si avvicendavano, delimitando la costa sino a svanire.
Erano azzurre esattamente come le montagne, e gli enormi affusti sembravano alberi mondati dai rami che solamente si ergevano secondo una strana, esatta inclinazione.
Avremmo dovuto ricordarci allora che anch’esse, sebbene galleggiassero, erano interamente composte dello stesso minerale indifferente che formava il mondo, comunque fosse stato riplasmato.
Eppure continuava a sembrare strano che non riuscissimo a vedere i particolari della loro struttura che avevamo immaginato saremmo riusciti a vedere.
Il comandante, che fino ad allora non aveva fatto altro che spiegarci cose su cose, disse che aveva da fare, e ci lasciò soli sul ponte, dove ci trattenemmo a guardare ancora, a lungo, silenziosi come uccelli.