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TOWANDA

«Towanda, la giustiziera persecutrice degli oppressori!»
Kathy Bates nei panni di Evelyn Couch in Pomodori verdi fritti alla fermata del treno (1991)

Quella della violenza sulle donne è storia antica, tragedia in corso, cronaca nera di ieri come di oggi.

Raccontarla, denunciarla, contraddirla fino ad annientarla è il compito di ogni società civile e di ogni linguaggio esistente: da quello verbale, recentemente costretto a coniare un neologismo atroce e inequivocabile come “femminicidio”, a quello artistico nel suo senso più ampio, dalla letteratura alla musica passando per il visivo e l’audiovisivo.

Tuttavia, come sempre capita nelle narrazioni, anche in questo caso la tentazione retorica (o, peggio, estetica) è un rischio insidioso, quasi un automatismo in incognito che finisce col banalizzare la gravità individuale dei singoli episodi ricorrendo a simboli e simulacri generici, riconoscibili nell’immediato ma destinati a perdere progressivamente la loro efficacia. A diventare, insomma, riferimenti abituali, consueti, scontati: subdoli e transitori come un livido che scompare, come una frattura che si ricompone, come una cicatrice che si mimetizza con l’incarnato.

Perché il corpo, quando il pericolo del decesso viene scongiurato e i traumi fisici non sono irreversibili, sceglie sempre, e per istinto naturale, il risanamento e la rinascita. Ma l’anima? I postumi interiori di ogni donna che subisce un abuso sono traumi impossibili da misurare ricorrendo alla durata di un ricovero ospedaliero, alla frequenza di una medicazione, alla dimensione di una sutura. E talvolta, perché si palesino in tutto il loro abominio di strascichi e deviazioni dal punto di vista psicologico, non hanno nemmeno bisogno della degenerazione del contatto fisico: è sufficiente quella delle parole.

Le opere create da Luciana Aironi in occasione del progetto TOWANDA, promosso dalla galleria MANCASPAZIO in occasione del 25 novembre 2020 e curato da Chiara Manca e Cecilia Mariani, sono la rappresentazione inequivocabile di come i maltrattamenti subiti vadano a intaccare per sempre l’interiorità delle vittime: insulti e soprusi verbali, atteggiamenti persecutori e manipolatori calcificano e riecheggiano “dentro” con lo stesso dolore che può dare la rottura di un osso in seguito a un’aggressione.

Per questo le lastre radiografiche – tutte appartenenti a soggetti femminili che le hanno messe a disposizione dell’artista – recano una triplice impressione ottenuta tramite linoleografia: da una parte, in nero, le bugie e le giustificazioni che le vittime raccontano a se stesse per camuffare episodi di violenza fisica e verbale; dall’altra, in rosso, la stampa di tutti quei “cerotti” (concreti e simbolici) che le stesse vittime tendono ad applicare nel (vano) tentativo di nasconderne l’evidenza e, con essa, il dolore; dall’altra ancora, in bianco, numeri e parole che possono davvero dare una svolta a esistenze segnate dal maltrattamento. Se quelle del corpo umano sottoposto ai raggi x sono immagini già di per sé crude in quanto immediatamente riconducibili a uno stato di malessere, in questa occasione a renderle ancora più disturbanti è la certezza che in molti (troppi) casi l’appuntamento con il peggiore dei finali – la morte, da sempre legata all’iconografia dello scheletro – sia solo rimandato. Con la loro esibita sgradevolezza, i lavori di Luciana Aironi non intendono fare sconti: pretendono tutta l’attenzione possibile da parte della
collettività, esattamente come farebbe una richiesta d’aiuto gridata a piena voce.

Contro ogni indifferenza o reticenza, l’artista le pone di fronte ai nostri occhi ben sapendo quanto possa rivelarsi faticoso sopportarne la visione: uno sforzo necessario, un atto richiesto, addirittura preteso, che mira a suscitare una commozione autentica e fattiva, la stessa che caratterizza la consapevolezza del fenomeno nella sua osservazione al di là di ogni discorso ozioso e di ogni fuorviante apparenza.

Con il suo nome evocativo, il progetto TOWANDA intende richiamare alla mente quel desiderio di giustizia e di liberazione delle vittime dai loro oppressori reso esplicito dal personaggio di Evelyn Couch (interpretato da Kathy Bates) in una memorabile scena del film Pomodori verdi fritti alla fermata del treno (1991), trasposizione diretta da Jon Avnet del romanzo di Fannie Flag Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop (1987). Una parola quasi magica, TOWANDA, che ha confermato l’importanza e l’incidenza del linguaggio in ogni circostanza della vita, e dunque anche nell’ambito della violenza di genere.

Dal 9 novembre al 4 dicembre le riproduzioni fotografiche delle opere di Luciana Aironi saranno affisse sui muri di Nuoro per promuovere una campagna di sensibilizzazione tramite manifesti e locandine di medio e grande formato, la cui realizzazione è stata resa possibile grazie al contributo economico di privati, enti e attività commerciali.

Nella settimana dal 23 al 29 novembre, inoltre, MANCASPAZIO promuoverà un’asta benefica on line con opere di artiste sarde (Luciana Aironi, Emanuela Cau, Beatrice Marinoni, Laura Saddi, Daniela Spoto) e la vendita di calzature da donna al prezzo di 5 e 10 euro: il ricavato dell’asta e della vendita delle calzature andrà interamente devoluto all’associazione Onda Rosa di Nuoro.